Il 40% ottenuto dal Partito Democratico alle elezioni europee è sicuramente un risultato straordinario che alcuni non hanno esitato a definire (mi auguro sbagliando) irripetibile per l’ampiezza del consenso raggiunto. Molti sono stati gli aggettivi che sono stati usati per definire questa vittoria. Tre sono quelli che voglio usare per abbozzare una prima analisi.

Il primo è storica.
Vittoria storica perché mai nessun partito in Italia ha raggiunto una tale percentuale di consenso (forse una sola volta la Democrazia Cristiana sul finire degli anni cinquanta) e perché per la prima volta il Partito Democratico è la prima formazione politica in tutte le regioni del nostro Paese, compreso nel Veneto dove non era mai successo che una forza di sinistra superasse quelle moderate.

Il secondo è inaspettata.
Ancora una volta abbiamo finito la campagna elettorale pensando che avremmo avuto un certo risultato e a spoglio delle schede ultimato ci siamo trovati di fronte ad un’altra verità. È successo con le politiche del 2013 che pensavamo di trionfare e ci siamo svegliati primi ma non vincenti. Ed è accaduto anche in questa ultima consultazione quando negli ultimi giorni della campagna elettorale si era ormai certi che il Movimento 5 Stelle fosse ormai ad un’incollatura dal Partito Democratico (qualcuno parlava anche di sorpasso) e invece Grillo & c. si sono ritrovati “asfaltati”. Ovviamente sia nel caso delle politiche che in quello delle europee c’era chi aveva già previsto che sarebbe finita come è finita (in un caso e nell’altro), solo che ce lo ha spiegato il giorno dopo. In ogni caso l’essere colti così di sorpresa deve interpellare gli addetti ai lavori su quelli che sono gli strumenti di analisi che andrebbero dunque affinati magari entrando un po’ più in sintonia con il popolo italiano che ancora una volta si è dimostrato, oltre che imprevedibile, molto più saggio di quello che si pensi (lo dico in particolare per gli amici grillini che in questi giorni se la prendono con i pensionati e in generale con gli elettori che non li hanno capiti: il voto va sempre rispettato, troppo facile dire che gli italiani sono intelligenti solo quando ci premiano).

Il terzo e ultimo aggettivo è personale.
È stata senza dubbio una vittoria personale, è stata la vittoria di Matteo Renzi, senza il quale il Partito Democratico non avrebbe mai raggiunto il 40%. Quindi meno male che Matteo c’è ma allo stesso tempo va fatta una seria riflessione su qual è a questo punto la funzione dei partiti e qual è la qualità di democrazia che avremo di fronte (ho scritto qualcosa in merito qui), sapendo che oggi si è chiuso a sinistra un cerchio aperto da destra nel 1994. Una realtà che Carlo Baccetti nel suo libro “La nuova politica locale” sintetizza così: «[nella fase che ha inizio nei primi anni novanta] il segno politicamente dominante è stato l’indebolimento organizzativo o addirittura la scomparsa del modello storicamente più rilevante, quello del partito degli iscritti. Quel modello è stato rimpiazzato, per lo più, da una nuova forma di mediazione politico-elettorale, centrata sul modello del partito personale e su un nuovo tipo di imprenditore politico che scendeva nell’arena elettorale contando principalmente su risorse di carattere personale più che di tipo organizzativo-politico».

Il 2014 sta dunque a Renzi come il 1994 sta a Berlusconi?

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