Circa tre mesi fa scrivevo qui che la situazione politica contraddistinta dalla presenza di tre schieramenti (centrosinistra, centrodestra e Movimento 5 Stelle) poteva rappresentare l’occasione per il Partito Democratico e i suoi alleati di vincere la competizione elettorale in Veneto.
Aggiungevo che questa opportunità poteva diventare concreta a meno che non si commettessero errori che puntualmente sono arrivati. Gli strascichi polemici seguiti alle primarie del centrosinistra veneto e alcune uscite non particolarmente brillanti della candidata del PD Alessandra Moretti hanno rappresentato una battuta d’arresto rispetto alle condizioni favorevoli che ho illustrato sopra.

Non tutto però è perduto!
Le prime settimane di campagna elettorale stanno mettendo in evidenza il carattere e la determinazione della Moretti. Rimango inoltre convinto che aver scelto di recarsi in tutti i 579 comuni del Veneto concentrandosi inizialmente sui più piccoli, dove storicamente risiede il consenso del centrodestra e in particolare della Lega (non è infatti un caso che il centrosinistra governi nella maggior parte dei capoluoghi di provincia), sia una giusta strategia elettorale. Se a questo aggiungiamo lo scompiglio che la vicenda dell’elezione del Presidente della Repubblica ha gettato nelle fila del centrodestra capiremo che la partita è più aperta di quello che si poteva pensare.

Non facciamoci facili illusioni, questo è sempre il Veneto! Se però Matteo Renzi decidesse di metterci la faccia, impegnandosi in prima persona nella campagna elettorale della prossima primavera, la coalizione di centrosinistra potrebbe aspirare a colmare il distacco che oggi la separa da Zaia, riservando così al centrodestra non poche sorprese.

A proposito di Renzi vorrei sommessamente unirmi a chi in questi giorni sta esaltando le capacità del Presidente del Consiglio e Segretario del PD che hanno portato alla elezione a Capo dello Stato di Sergio Mattarella. Renzi è innegabilmente provvisto di una buona dose di spregiudicatezza e abilità politica. Doti che gli hanno permesso di usare la “politica dei due forni” (tanto cara a Giulio Andreotti) con una disinvoltura tale da arrivare ad aggiornarla facendola diventare la “politica dei tre forni” grazia alla quale si è fatto beffe di Alfano rimettendo inoltre all’angolo Berlusconi e Forza Italia.

Mi permetto però di sottolineare che la ritrovata unità del Partito Democratico non può essere ascritta al solo Renzi ma che vada anche riconosciuta la responsabilità dimostrata dalla cosiddetta minoranza del PD che non si è sottratta dal dare una mano, Bersani in testa. Le vicende di questi giorni credo possano aiutare a capire un po’ meglio come andò nel 2013 quando, a parti invertite (Renzi allora era il capo della minoranza), le cose andarono diversamente.

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