Come ulteriore spunto di riflessione rispetto a quanto avevo scritto qui, sulla democrazia e su come si stia trasformando nel corso di questi anni, riporto alcune interessanti considerazioni nelle quali mi sono imbattuto leggendo “Democrazia ibrida” di Ilvo Diamanti (Laterza, 2014).

Il ragionamento di Diamanti prende corpo dal mettere in evidenza come la democrazia rappresentativa nel corso della sua storia sia passata dall’essere in origine una democrazia espressione dell’elite dei notabili per poi trasformarsi nella «democrazia dei partiti» per approdare infine alla fase attuale di «democrazia del pubblico», dove i partiti sono ridotti a comitati di dirigenti e funzionari che per mantenere il consenso attribuiscono spazio crescente alla personalizzazione e alla comunicazione, mentre le identità collettive si indeboliscono e vengono compensate dalla fiducia personale diretta. I partiti sono dunque comitati al servizio di un leader che sviluppa il rapporto con la società e i cittadini servendosi dei media e delle tecniche del marketing politico-elettorale. Si parla quindi di «democrazia del pubblico» perché lo spazio della rappresentanza coincide con lo scambio diretto fra leader e opinione pubblica.

Qual è dunque la forma di governo che meglio si addice a questa fase storica della democrazia, cosiddetta postdemocratica? Diamanti (ma non solo lui) risponde alla domanda affermando che oramai stiamo vivendo appieno nel campo dei populismi, in tutte le varie sfaccettature che essi possono avere ma che alla fine rimandano tutte alla sostanza del populismo e cioè al rapporto diretto, senza mediazioni, senza quindi corpi intermedi, tra il Capo e il “suo” popolo.

Nel libro compare una breve rassegna dei vari populismi del nostro tempo. L’autore ne elenca tredici, tra questi l’ultimo è il seguente :

è, infine, considerato “populista” il richiamo al “nuovo” come rimedio universale, in politica. Contro il passato e i passatisti, contro le classi dirigenti “vecchie”, non solo per età. È, dunque, populista l’ideologia del “nuovo”. Cioè: il Nuovismo. I discorsi che ne predicano l’affermazione. E tutti coloro che ne sono portabandiera e profeti. I “nuovisti”. D’altra parte, evocare il “nuovo” significa incitare a liberarsi dei “vecchi”. Leader, capi: devono essere “rottamati”, come macchine vecchie, da cui ricavare, al massimo, pezzi da riutilizzare.

Rimando alla lettura del libro, per altro molto veloce, per ulteriori approfondimenti.

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