A fine febbraio in Veneto si sono sfiorati i 20°C mentre, pochi giorni prima, il sud Italia veniva martoriato da vento, pioggia e neve. A novembre dell’anno scorso il maltempo si è abbattuto sulle Dolomiti causando danni per diversi milioni di euro e distruggendo il 40% del patrimonio boschivo. L’estate 2018 è stata la più calda degli ultimi 100 anni. In altre parole, il cambiamento climatico non è un ipotetico evento futuro ma è già in atto e non ha intenzione di arrestarsi. Le temperature sono in aumento, l’andamento delle precipitazioni sta variando, ghiaccio e neve si stanno sciogliendo e il livello medio del mare, si sta innalzando a livello globale. Di questo passo, fra circa 80 anni le zone più vicine alle coste saranno sommerse dall’acqua. Avremo a disposizione meno superficie terrestre e una popolazione mondiale che arriverà a superare i 10 miliardi nel 2100. Inoltre, a causa dei cambiamenti climatici, diversi territori diventeranno inospitali determinando migrazioni di massa dal sud al nord del mondo (cosa che sta già avvenendo anche se con numeri risibili rispetto a quello che ci aspetta in futuro, con buona pace di chi oggi parla, a sproposito, di invasione).

Come disse Barack Obama, “Siamo la prima generazione a subire le conseguenze del cambiamento climatico e l’ultima generazione che può fare qualcosa”. E questo qualcosa è riuscire a ridurre o, meglio ancora, eliminare le emissioni che determinano l’aumento delle concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera, causa primaria del riscaldamento globale.

Per ottenere questo risultato molti organismi internazionali si stanno impegnando, anche se con risultati alterni (per usare un eufemismo). Innanzitutto l’ONU con le conferenze mondiali sul clima. All’ultima delle quali (COP24), tenuta in Polonia il dicembre dello scorso anno, si è fissato l’obiettivo di arginare l’innalzamento della temperatura del pianeta entro 1,5°C rispetto all’età pre-industriale. Se raggiunto, questo obiettivo non fermerà del tutto la desertificazione e gli eventi climatici estremi ma, quantomeno, eviterà la fine della Terra così come la conosciamo. Anche l’Unione Europea sta facendo la sua parte ponendosi come finalità, da realizzare entro il 2020, una riduzione del 20% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990.

A questi traguardi tutti dovrebbero guardare, operando un radicale processo di decarbonizzazione in favore di un sempre più largo e costante impiego di energia da fonti rinnovabili. Ma non tutti sono di questo avviso. Per le ragioni più diverse: c’è chi, tra gli stati più ricchi, non vuole perdere il proprio primato rinunciando all’energia fossile, i paesi più poveri e quelli in via di sviluppo non vogliono arrestare la propria crescita ritenendo, a ragion veduta, di avere una responsabilità enormemente inferiore per l’imminente disastro ambientale rispetto alle grandi potenze, infine ci sono pure i negazionisti, che mettono in dubbio il cambiamento climatico.

Oltre a questo poco incoraggiante e complicato intreccio internazionale, non vanno sottovalutate le politiche che possono mettere in campo anche le istituzioni locali. Queste ultime, per la vicinanza che hanno con i cittadini e cittadine, possono sensibilmente contribuire alla formazione di una nuova cultura ambientale. Questo impegno dovrebbe essere, ad esempio, tra le priorità della Regione Veneto e del Comune di Venezia, dato i loro territori insistono nella Pianura Padana che è tra le zone più inquinate d’Europa. Invece, in questi anni, abbiamo assistito a scelte che vanno esattamente nella direzione opposta. La regione Veneto, anziché investire in mobilità sostenibile, continua a realizzare chilometri d’asfalto e nel contempo dichiara fallito il progetto del Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale. In Comune a Venezia si predilige favorire il traffico privato, che quotidianamente trasforma le nostre strade in camere a gas, a discapito del trasporto pubblico locale. Sulla scorta di questa convinzione sono state aperte tutte le zone a traffico limitato in centro città, diminuite le tariffe orarie dei parcheggi ed eliminato le corsie riservate a tram e autobus. In pratica, un buon compromesso tra negazione della realtà e incapacità nell’affrontarla.

Se queste sono le premesse, sia livello mondiale che locale, prepariamoci a uno scenario da The day after tomorrow. Pare dunque evidente che non ci si possa aspettare delle soluzioni da parte delle istituzioni. Sulla questione ambientale serve una mobilitazione dal basso. A partire dalla manifestazione mondiale del prossimo 15 marzo.

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