Correva l’anno 1995, la Seconda Repubblica era appena iniziata, e alla vigilia delle elezioni regionali al centrosinistra si presentò l’occasione di vincere e di interrompere così la storia che, dal dopoguerra in poi, vuole il Veneto governato da forze politiche moderate. L’alleanza tra Forza Italia e la Lega Nord, che aveva portato nel 1994 alla nascita del primo governo Berlusconi, dopo pochi mesi venne meno e così la competizione si presentò tripolare: centrodestra senza il partito di Bossi da un lato, centrosinistra senza Rifondazione e Verdi dall’altro, la Lega Nord sola contro tutti. Al centrosinistra sarebbe forse bastato presentarsi unito con il candidato giusto, che per molti sarebbe potuto essere Tina Anselmi, parlamentare democristiana di Castelfranco Veneto, già presidente della commissione d’inchiesta contro la loggia massonica P2 e con un passato da staffetta partigiana.
Purtroppo non andò così e si spalancarono le porte al quindicennio di Giancarlo Galan che vinse con circa il 38% dei consensi, frutto di un numero di voti assoluti inferiore alla somma dei voti di Ettore Bentsik (candidato del centrosinistra) e di Paolo Cacciari (candidato del polo rossoverde).
A vent’anni di distanza, alle elezioni regionali del 2015, affronteremo una situazione simile a quella del 1995: ancora in un periodo di transizione (probabilmente mai terminato dal 1994) e ancora una volta di fronte ad una competizione tripolare. Questa volta i tre poli saranno rappresentati dal centrodestra (anche se molto più debole rispetto a soli 5 anni fa) compatto sul presidente uscente Luca Zaia, dal Partito Democratico (più forte di 5 anni fa anche se non è ancora chiaro quale sarà la coalizione e quando/come si terranno le primarie per l’individuazione del candidato) e dal Movimento 5 Stelle (più forte della Lega di allora).
Se questo sarà il quadro, si può provare ad azzardare qualche numero. Il M5S è presumibile che si attesterà in Veneto intorno al 20%. Solitamente una percentuale molto prossima al 5% va dispersa nelle liste più piccole. Rimane da distribuire il rimanente 75% quindi per vincere basterà, ad una delle due coalizione più importanti, raggiungere il 38% dei consensi. Percentuale non impossibile da raggiungere anche per il centrosinistra del passato: nel 1995 se il centrosinistra si fosse presentato unito avrebbe raggiunto il 39,2%, nel 2000 Massimo Cacciari arrivò al 38,2% e nel 2005 Massimo Carraro prese il 42,3%. Zaia è ancora forte ma questa volta la vittoria per il centrosinistra non è un miraggio, a meno che non si commettano errori paragonabili a quelli di 20 anni fa (oppure compiendo scelte come nel 2010 quando, candidando Giuseppe Bortolussi, si prese il 29%).
Perché come scrive Renzo Mazzaro nel suo “I padroni del Veneto” (Laterza, 2012): “Bisogna approfittare dei momenti di transizione – è convinto Paolo Feltrin, docente di scienze politiche di Trieste – e prendere le decisioni giuste. Passato il momento non c’è più niente da fare, ma quando la situazione è in movimento si può tentare di costruire una nuova egemonia. È quanto accaduto in Basilicata. Era la regione più democristiana d’Italia insieme al Veneto, dominio assoluto della corrente dell’ex ministro Emilio Colombo. Oggi è la regione più rossa d’Italia. C’è stata una classe dirigente comunista che è saltata sul cavallo democristiano, approfittando di Tangentopoli, prima che fosse azzoppato».