Lo slittamento dell’inizio dei lavori per la realizzazione del progetto sull’area dell’ex ospedale Umberto I non è una semplice questione di tempi tecnici: è la prova concreta che la vigilanza civica funziona e che le istituzioni, quando sollecitate, sono costrette a fare il loro mestiere. Le perplessità espresse dalla Soprintendenza, la richiesta di una Vas e di una Vinca, le annotazioni sugli impatti paesaggistici e idrogeologici non sono ostacoli ideologici ma strumenti essenziali per tutelare il bene comune.
Chi ha seguito la vicenda sa che non si tratta solo di un intervento immobiliare. Parliamo di un’area che ricade nella buffer zone del sito Unesco, che confina con edifici tutelati e che insiste su un territorio dove la qualità del suolo e il rischio idrogeologico sono temi già emersi nelle indagini preliminari. Mettere mano a questo pezzo di città con torri alte 90 metri — come ha giustamente osservato la Soprintendenza — significa trasformare in modo irreversibile il profilo urbano, i flussi idrici, e la relazione tra la terraferma e la laguna.
È sulle conseguenze di queste scelte che voglio essere chiaro: non è accettabile che interessi speculativi — mascherati da promesse di rilancio — possano prevalere sulla tutela ambientale, sulla sicurezza idrogeologica e sulla compatibilità con il patrimonio storico e paesaggistico. Non è accettabile che il progetto proceda sulla base di valutazioni sommarie o di autorizzazioni frammentarie. La città non merita di essere sacrificata sull’altare del profitto veloce.
Va inoltro riconosciuto, con forza, chi ha reso possibile questo passo indietro: i cittadini, i comitati, le associazioni che per anni hanno monitorato la vicenda, che hanno chiesto trasparenza, che hanno alzato la voce di fronte a segnalazioni di contaminazioni e a dubbi sul piano delle acque. Il merito è loro: della pazienza, della competenza civica e della determinazione del territorio. È grazie a quel lavoro collettivo che oggi il progetto non potrà più ignorare la qualità del contesto e le regole del bene comune.
Ora la politica deve fare la propria parte, e non in difesa di questa o quella impresa, ma della città. Le istituzioni locali — Comune e Città metropolitana — devono garantire che la Vas e la Vinca siano condotte in modo rigoroso, indipendente e trasparente; che le analisi di caratterizzazione del suolo siano rese pubbliche; che eventuali misure di bonifica siano vincolanti e controllate; che non si autorizzi alcun intervento che aggravi il rischio alluvionale. Serve infine una revisione del progetto che tenga conto del contesto storico-ambientale: meno volumetrie, più qualità urbana, più verde accessibile, più edilizia sociale e soluzioni di mobilità compatibili con la vivibilità della zona. In sostanza, deve essere garantito un legame più coerente e organico tra il nuovo insediamento e il tessuto storico di Mestre, anche partendo da alcune ipotesi e proposte già presentate pubblicamente.
A chi sostiene che il rallentamento sia una perdita di opportunità economica si deve rispondere che le vere opportunità si costruiscono rispettando le regole e la comunità. Un solo errore irreversibile nella gestione del suolo e dell’acqua può costare molto di più di anni di cantieri. La vera economia è quella che conserva il valore del territorio, non quella che lo consuma.
Infine, un appello alle forze politiche: ascoltate la città. Accogliete il contributo dei comitati non come fastidio, ma come risorsa. Impegnatevi a costruire alternative progettuali condivise, che mettano insieme riqualificazione, tutela del paesaggio e coesione sociale. La politica deve ricominciare a essere mediazione tra interessi legittimi e responsabilità pubblica.
La battaglia non è finita — ma oggi sappiamo una cosa importante: quando la società civile lavora, vede e vigila, ottiene risultati. Non sprechiamo questa opportunità. Costruiamo, insieme, un progetto che rispetti Mestre, la sua storia e la sua relazione con la laguna.
