C’è una scorciatoia narrativa che torna spesso nella retorica pubblica dell’assessore al Commercio di Venezia, Sebastiano Costalonga: la colpa di ogni stortura del commercio urbano (ultima in ordine di tempo quella dei porter) viene ricondotta alle liberalizzazioni nazionali, incarnate nel cosiddetto pacchetto Bersani. È una scelta comunicativa comoda — assegna una causa esterna, vecchia e facilmente riconoscibile — ma è anche fuorviante. Mettere sempre Bersani sul banco degli imputati rischia di trasformare la politica locale in una continua protesta contro il passato, anziché in una proposta concreta sul presente e sul futuro.
Non si può negare il dato formale: il pacchetto di liberalizzazioni ha cambiato regole e dinamiche del mercato e ha avuto effetti rilevanti. Ma è ingenuo trasformare questi cambiamenti in una sentenza definitiva che solleva chi governa la città dalle proprie responsabilità. Anzi: se davvero si voleva intervenire sul degrado commerciale e sulla perdita di qualità dell’offerta urbana, quelle politiche locali potevano — e dovevano — essere impostate prima, perché la medesima coalizione di centro-destra governa la città ormai da oltre un decennio. Luigi Brugnaro è sindaco dal 2015: dieci anni di responsabilità amministrativa che non possono essere liquidati con l’alibi di una riforma nazionale.
Va inoltre ricordato che le recenti trasformazioni del commercio non nascono dal nulla: sono la risposta a una domanda gigantesca e persistente. Venezia è tornata ai flussi pre-pandemia — con milioni di visitatori all’anno — e le dinamiche dell’overtourism hanno creato un mercato in cui i negozi più redditizi sono quelli a rapido rendimento, spesso di bassa qualità. Nel 2023 i flussi turistici sono tornati a livelli molto alti; questo squilibrio domanda-offerta ha spinto verso formule commerciali pensate per il consumo immediato del turista di passaggio, non per la vita della comunità locale.
Le misure adottate dalla giunta sono arrivate — o sono state intensificate — solo dopo che il fenomeno aveva già preso slancio, e i segnali sono ambivalenti: l’introduzione e l’ampliamento della tassa per i visitatori diurni mostrano la volontà di intervenire, ma i numeri e i report di settore indicano che tali strumenti finora non sono stati sufficienti a ridurre la pressione turistica quotidiana sulla città né a rimettere in equilibrio domanda e offerta commerciale. È legittimo quindi chiedersi perché una strategia complessiva — volta a governare i flussi, stabilizzare la residenza e accompagnare la riconversione dell’offerta commerciale — non sia stata perseguita con maggiore decisione in questi anni di governo.
Da qui nascono due critiche concrete alla narrativa che punta tutto sul “colpevole nazionale”:
- Tempismo e responsabilità — se la coalizione che governa ha già dieci anni di gestione, le regolamentazioni che oggi vengono reclamate potevano essere pensate, progettate e attuate prima; averle rimandate significa aver perso tempo prezioso per governare i processi invece che rincorrerli.
- Diagnosi incompleta — attribuire la colpa solo a una stagione normativa nazionale nasconde il cuore del problema: esiste una domanda turistica enorme che va governata con politiche del turismo, della casa, della mobilità e con incentivi reali per l’economia di qualità. Senza affrontare quella domanda, qualsiasi regolamentazione dell’offerta rischia di essere parziale e inefficace.
La politica utile, insomma, non si costruisce sul rimprovero al passato: si costruisce con piani, risorse e scelte coraggiose. Limitarsi a indicare un colpevole esterno — sia esso Bersani o chiunque altro — è facile; difficile è invece mettere in campo una strategia integrata che coniughi regolazione dell’offerta, misure per la qualità, politiche abitative e gestione dei flussi turistici. È questa la responsabilità che oggi pesa sulla maggioranza che governa Venezia: non si risolve nulla invocando norme lontane nel tempo, se contemporaneamente non si governa la pressione turistica che produce la domanda per i negozi “di bassa qualità”.
Chi vuole davvero difendere il commercio di qualità e la vita urbana — e non solo costruire narrazioni — proponga dunque un piano complessivo: regole chiare per le aperture, incentivi per l’artigianato e per le botteghe storiche, politiche per la stabilità abitativa, e soprattutto misure efficaci per governare il turismo di massa. Solo così si potrà passare dall’accusa come sport retorico a un progetto di governo che cambi concretamente il futuro della città.
