Nel Veneto orientale mancano 99 medici di medicina generale. Una voragine che lascia scoperte intere comunità, da Jesolo a Caorle, da San Donà a Portogruaro. Significa che migliaia di cittadini – in larga parte anziani, cronici e famiglie – non hanno più un riferimento certo per la propria salute.
Oggi i pochi medici rimasti arrivano a gestire oltre 2.000 pazienti ciascuno, ben al di sopra del limite fissato a livello nazionale. Questo si traduce in file interminabili, difficoltà a ottenere una visita o anche solo a parlare al telefono, meno tempo da dedicare a chi ha davvero bisogno. E tutto ciò in un territorio che vede in estate moltiplicarsi la popolazione per l’afflusso turistico, con un carico sanitario ancora maggiore.
È evidente che siamo davanti a un problema strutturale, non emergenziale. Eppure la Regione Veneto, guidata da anni dalla giunta Zaia, continua a rispondere con annunci e palliativi, senza affrontare le cause reali della crisi:
– non si è investito abbastanza per rendere attrattiva la professione di medico di base, soprattutto nelle aree periferiche e turistiche;
– non si è ridotta la burocrazia che soffoca il lavoro dei professionisti;
– si parla di Case di Comunità, ma senza il personale rischiano di restare cattedrali nel deserto.
Senza contare il fatto che la Regione scelse irresponsabilmente di disaggregare il comune di Cavallino Treporti dall’Ulss veneziana per farlo confluire in quella del Veneto orientale, salvo poi fare accordi per garantire il supporto della continuità assistenziale al Comune di Cavallino Treporti tramite la stessa Ulss 3. Una chiara evidenza di come la Regione Veneto troppe volte abbia proceduto nella programmazione sanitaria secondo logiche più politiche che di reale attenzione ai bisogni del cittadino.
Il Veneto orientale non può essere trattato come una periferia dimenticata. Servono soluzioni concrete e immediate:
- Incentivi economici e contrattuali per chi sceglie di lavorare in queste zone, come già avviene in altre regioni;
- Assunzioni straordinarie e borse di studio mirate per la medicina generale, legate al fabbisogno reale dei territori;
- Taglio della burocrazia, per restituire ai medici il tempo di fare ciò per cui hanno studiato: curare le persone;
- Una pianificazione regionale seria, che metta davvero al centro i bisogni dei cittadini e non solo gli equilibri di bilancio.
La salute è un diritto costituzionale, non un favore da concedere. Oggi il Veneto orientale è un laboratorio negativo di ciò che accade quando la sanità pubblica viene lasciata a se stessa: chi ha i soldi si rivolge al privato, chi non li ha rinuncia alle cure.
È ora che la Regione smetta di nascondersi dietro le emergenze e costruisca una strategia di lungo periodo. Perché senza medici di base non c’è sanità territoriale, e senza sanità territoriale i cittadini restano soli.
