Il Veneto dispone oggi di 347 RSA per un totale di circa 32.983 posti letto, ma questo apparente patrimonio strutturale non si traduce in risposte adeguate ai bisogni delle famiglie. Nonostante le strutture esistano, l’accesso effettivo e la sostenibilità economica per i nuclei familiari restano profondamente inadeguati.
Le liste d’attesa sono un dato di realtà e arrivano a circa 10.000 persone in attesa di un posto in RSA nella nostra regione. Anche dove le cifre locali (per esempio per singole province) possono variare, il segnale è chiaro: c’è più domanda di quanto il sistema sia oggi in grado di assorbire, con evidenti ricadute su chi assiste a casa e su chi viene costretto a spese insostenibili.
La Regione ha definito un’impegnativa unica di residenzialità il cui valore è stato fissato intorno a 52,00 € al giorno. È un dato importante, perché mostra come la Regione fornisca solo una parte minima del costo complessivo della permanenza, lasciando alla quota “alberghiera” il peso sostanziale che grava sulle famiglie.
Il prezzo reale che grava sulle famiglie è ormai insopportabile: la retta media a carico delle famiglie per non autosufficienti è di circa 2.200 € al mese, mentre — se si considerano i casi senza alcuna impegnativa regionale — la media sale e in alcune analisi arriva fino a 2.730 € al mese. Le tariffe giornaliere si muovono su intervalli molto ampi (per ricoveri senza impegnativa la media indicata è 87,83 €/die; con impegnativa la media cala a 63,87 €/die), ma il risultato pratico è che sempre più nuclei familiari sopportano spese che erodono risparmi e redditi, con conseguenze sociali pesanti.
Alle rette si aggiunge la carenza di personale: la capacità di assistenza è fortemente condizionata dalla disponibilità di OSS, infermieri e personale sociosanitario adeguatamente retribuito e stabilizzato. Gli aumenti di bilancio annunciati — e gli stanziamenti regionali per il settore — non sono sempre traducibili in interventi immediati nelle RSA private o nella stabilizzazione di figure fondamentali. Il risultato è un mercato del lavoro nel settore che resta debole e che alimenta ulteriore frammentazione dell’offerta e peggioramento della qualità.
Questo mix di fattori — posti non sempre accessibili, quota pubblica limitata, rette elevate e carenza di personale — produce tre effetti concreti e inaccettabili:
1. l’allungamento delle liste d’attesa e la conseguente pressione sulle famiglie che devono accudire a domicilio persone non autosufficienti;
2. l’esclusione economica di chi non può sostenere rette piene, con rischi di impoverimento e di soluzioni d’emergenza di bassa qualità;
3. una dinamica che incentiva logiche privatistiche e la compressione dei diritti di accesso universale all’assistenza.
Queste azioni sono particolarmente urgenti in alcuni territori, come quello dell’area metropolitana veneziana e del centro storico di Venezia in particolare, particolarmente gravato dall’invecchiamento della popolazione (nel 2024 la percentuale di popolazione over 65 anni del Distretto 1 Venezia Centro Storico era pari al 32,7%, a fronte del 26,1% dell’intera ULSS 3 e di una media inferiore di circa due punti in Regione Veneto).
Le soluzioni esistono e non possono più essere rinviate: servono aumenti significativi e mirati delle impegnative, una revisione della programmazione dei posti letto con obiettivi chiari per ridurre le liste d’attesa, piani di stabilizzazione e valorizzazione contrattuale del personale OSS e infermieristico, e una verifica della governance delle IPAB e dei modelli di accreditamento per evitare che la copertura pubblica rimanga formale anziché sostanziale. Ogni stanziamento annunciato deve essere fatto ricadere in modo trasparente sui servizi residenziali per anziani e non disperso in misure che non arrivano ai lavoratori e agli utenti.
Infine una richiesta chiara: la tutela della dignità degli anziani e la sostenibilità per le famiglie non sono questioni di bilancio che si possono posticipare — sono un obbligo civile. Serve un piano pubblico di medio termine che metta insieme risorse, nuovi posti e riforme contrattuali, accompagnato da trasparenza sui numeri reali (graduatorie, tempi medi di attesa, numero di impegnative erogate per provincia). Senza questo, il Veneto continuerà a registrare anacronistiche situazioni di esclusione sociale e di costi insostenibili per i suoi cittadini più fragili.
