L’inverno demografico che il Veneto si trova ad attraversare è una sfida concreta per le imprese, per i servizi pubblici e per la tenuta sociale delle nostre comunità. Il territorio conta oggi quasi cinque milioni di residenti, con una forte concentrazione di persone nella fascia tra i 45 e i 64 anni e una popolazione giovanile che fatica a rinnovare la base della forza lavoro. Se non si interviene, nei prossimi due decenni il Veneto rischia di perdere centinaia di migliaia di occupati, un vuoto che non potrà essere ricoperto automaticamente né dalla semplice tecnologia né da politiche occasionali. Serve invece un progetto regionale organico che metta insieme strumenti di formazione, politiche per la natalità, integrazione dei flussi migratori e un ripensamento dei trasporti, perché solo un’azione coordinata può trasformare il problema in opportunità.

La Regione ha competenze decisive in due ambiti che oggi risultano strategici: la formazione professionale e i trasporti. Queste leve devono essere usate congiuntamente per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, sostenere la transizione tecnologica delle imprese e rendere più fluido il mercato del lavoro tra i territori. Sul fronte della formazione, è necessario uscire dall’idea che l’investimento formativo riguardi solo i giovani: la sfida demografica richiede piani di riqualificazione continua per lavoratori di ogni età, percorsi intensivi per chi cambia mestiere e percorsi di riconoscimento rapido delle competenze acquisite all’estero. La Regione può rafforzare i poli formativi, aumentarne la flessibilità e legarli direttamente alle esigenze delle filiere locali, con finanziamenti mirati per le piccole e medie imprese che investono in corsi per i propri addetti. Occorre promuovere apprendistati moderni e tirocini strutturati che affianchino la formazione teorica a esperienze concrete in azienda, così da ridurre il mismatch tra competenze richieste e competenze offerte.

La digitalizzazione e l’automazione non devono essere viste come nemiche del lavoro, ma come strumenti che richiedono investimenti pubblici e privati in capitale umano. Per questo la Regione deve sostenere progetti di innovazione che prevedano obbligatori programmi di formazione interna, con voucher per le PMI e incentivi fiscali vincolati alla riqualificazione degli occupati. Allo stesso tempo, è fondamentale sviluppare percorsi formativi specifici per le professioni emergenti e per i mestieri tradizionali che possono essere aggiornati con competenze digitali: solo così si eviterà la doppia trappola di imprese che non trovano personale qualificato e lavoratori che non trovano lavoro adeguato.

L’altro pilastro su cui la Regione può avere un impatto immediato è la mobilità. I trasporti sono la condizione che consente al lavoro di spostarsi, ai giovani di accedere a opportunità formative e alle imprese di attingere a bacini di competenze più ampi. Serve una strategia di integrazione modale che migliori le connessioni tra aree interne e poli produttivi, riduca i tempi di viaggio pendolare e renda più sostenibile la mobilità quotidiana. Investimenti mirati su ferrovie regionali e servizi di collegamento locale, accompagnati da orari e tariffe pensati per i lavoratori e gli studenti, possono ridurre l’attrito che oggi scoraggia la mobilità occupazionale e favorire il ripopolamento dei territori meno centrali. La Regione deve inoltre sostenere soluzioni di mobilità condivisa e infrastrutture per la micromobilità che rendano più agevole l’ultimo miglio verso luoghi di lavoro e formazione.

Un’azione efficace richiede poi di guardare ai flussi migratori non come a un’emergenza da contenere, ma come a una risorsa da integrare con politiche attive. L’accoglienza deve essere legata a percorsi chiari di inserimento lavorativo, riconoscimento dei titoli e formazione linguistica e professionale. Programmi congiunti tra regione e imprese possono trasformare l’arrivo di nuovi cittadini in opportunità per settori in carenza di mano d’opera, evitando fenomeni di lavoro irregolare e coesistenza sociale fragile.

La riforma delle politiche locali del welfare e il sostegno alle famiglie rimangono nodi di lungo periodo: servizi per l’infanzia accessibili, congedi e politiche abitative pensate per i giovani che entrano nel mercato del lavoro sono investimenti che pagano nel tempo, ma non saranno sufficienti da soli. È necessario che la Regione affianchi questi strumenti con misure di accompagnamento alle imprese che facilitino il passaggio generazionale e la continuità produttiva, come linee di credito agevolato per piani industriali che includano formazione e innovazione, o incentivi per la cooperazione tra imprese sui progetti di digitalizzazione e formazione condivisa.

Infine, per accompagnare queste trasformazioni serve un sistema di monitoraggio regionale che segua in tempo reale l’andamento dell’occupazione, i settori più in sofferenza, l’efficacia dei corsi finanziati e i flussi di mobilità interna. La Regione può diventare il centro di una governance che coordini i comuni, le università, gli enti di formazione e le rappresentanze imprenditoriali: una struttura capace di tradurre dati e bisogni in azioni operative e risorse allocate dove servono di più.

Il Veneto ha ancora margini per difendere la sua capacità produttiva e innovativa. Farlo significa mettere al centro competenze e mobilità, investire nel capitale umano e rendere il territorio più accessibile. Non si tratta di soluzioni magiche, ma di scelte coerenti e integrate: formazione continua, trasporti che collegano persone e opportunità, politiche di integrazione efficaci e incentivi che premiano la qualità del lavoro. Se la Regione agirà su questi fronti con decisione e visione, la sfida demografica potrà diventare lo stimolo per un nuovo modello di sviluppo territoriale, più inclusivo, competitivo e sostenibile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *